“Dobbiamo differenziare il nostro sport dalla musica rap. Noi non siamo rapper, eppure quante volte al minuto i piloti dicono parolacce? Noi non siamo così, è una cosa che fanno i rapper, non noi“. Il presidente della Fia, Ben Sulayem, era stato chiaro con i piloti: basta parolacce o arriveranno delle sanzioni. Dalle parole (o parolacce…) si è passati ai fatti (o fattacci…). Il primo a pagare è stato Max Verstappen condannato dalla Fia a svolgere “lavori socialmente utili” per aver utilizzato un linguaggio volgare in conferenza stampa prima del via al weekend del Gran Premio di Singapore.
Nell’incontro con i media, infatti, Verstappen aveva spiegato che Perez in Azerbaijan era risultato più veloce di lui in questi termini: “non lo so, amico. Assetto diverso. Quindi non appena sono entrato in qualifica, sapevo che la macchina era fottuta“.
L’ultima parolina gli è costata la violazione dell’articolo 12.2.1k del Codice sportivo internazionale, che stabilisce come costituisca reato pubblicare “qualsiasi parola, atto o scritto che abbia cagionato un danno morale o una perdita alla Fia, ai suoi organi, ai suoi membri o ai suoi dirigenti, e più in generale all’interesse dello sport automobilistico e sui valori difesi dalla Fia. È politica della Fia garantire che il linguaggio utilizzato nei suoi forum pubblici, come le conferenze stampa, soddisfi gli standard generalmente accettati da tutto il pubblico e le trasmissioni. Ciò vale in particolare per le dichiarazioni dei partecipanti ai Campionati del mondo, che rappresentano quindi dei modelli sia all’interno che all’esterno dello sport“.