Bergamo è una delle città più colpite dall’emergenza Coronavirus. La situazione è delicata in Italia, ma soprattutto al Nord le conseguenze sono state drammatiche. L’Atalanta si è ritrovata dal sogno dopo la qualificazione ai quarti di finale di Champions League, allo sconforto più totale. Affronta la situazione Robin Gosens, vero e proprio punto di riferimento della squadra di Gasperini a ‘La Gazzetta dello Sport’.
SUL CORONAVIRUS – “Quando ho letto sul Welt di un nuovo virus che dalla Cina forse sarebbe arrivato in Europa. Prima cliccavo qualche notizia in Rete ogni tanto, ma non ci facevo caso. C’è paura? Quando mi hanno spiegato che la Lombardia era il centro di tutto, che da nessun’altra parte d’Europa c’erano tanti casi. Quel giorno mi sono detto: “Ok, prima era a Wuhan, così lontano, e adesso è qui: ora siamo in pericolo. Mi hanno parlato di pagine e pagine dell’Eco di Bergamo piene di necrologi: una cosa spaventosa. E’ stato lì che mi sono detto: “Io e Rabea, la mia fidanzata, dobbiamo parlare: forse è il caso che lei torni in Germania”. Ma è voluta rimanere con me, e insieme abbiamo deciso che restasse”.
RUGANI POSITIVO – “Quel giorno abbiamo pensato tutti: e adesso chissà quando torneremo a giocare. Pensai alla quarantena: per lui, i compagni, gli avversari. Pensai che siamo davvero tutti sulla stessa barca. E infatti da oggi sono in autoisolamento anche io, ma non è cambiato nulla: in pratica lo ero già da mercoledì. Sono preoccupato quanto lo sono da giorni, né più né meno”.
LA SITUAZIONE DOPO L’EMERGENZA – “Era cambiata la testa: non si parlava più di calcio, ma di Coronavirus. E di come sarebbe cambiata la nostra esistenza, a cosa avremmo dovuto fare attenzione: non si è parlato più di vita, ma di come vivere. «Sapevamo che al 99% avremmo giocato almeno in Champions, dunque abbiamo provato a fare allenamenti molto buoni, a lavorare forte. Ma concentrarsi non era facile”.
ANCORA SULL’EPIDEMIA – “L’abbiamo sottovalutato tutti, io per primo. “Al massimo è un’influenza”, mi dicevo. E sono uscito, sono andato al ristorante, ho incontrato gli amici. Non conoscevamo questo nemico e la sua capacità di contagio, lo abbiamo capito solo quando i casi erano già tantissimi. Troppi. Quando ci hanno spiegato il significato di quelle due parole: zona rossa. Dopo un po’ di superficialità sono emerse le vostre cose migliori: il coraggio, la solidarietà, l’identità di popolo. E l’amore per la vita, la riconoscenza: leggere di gente che si affaccia ai balconi e applaude i medici, gli infermieri, mi ha commosso”.
SU SERIE A E CHAMPIONS LEAGUE – “Mi chiedo come faranno, quale potrà essere la soluzione che accontenti tutti: davvero non so come finirà. E’ brutto essere smarriti, ma lo siamo”.