Ritrovarsi un anno (e qualche mese) dopo. Manchester City e Inter, Guardiola e Inzaghi, una specie di “arrivederci” concretizzato, la sensazione di qualcosa lasciato a metà, di un ultimo gradino verso la gloria sul quale i nerazzurri scivolarono due volte: prima con Lautaro e poi con Lukaku, al posto sbagliato nel momento sbagliato. Da allora tante cose sono cambiate.
In primis l’importanza della sfida che oggi – al netto delle suggestioni – propone, banalmente solo i tre punti in palio per cominciare bene questo maxi girone lontanissimo dalle sfide dentro fuori che da sempre sono la cifra delle competizioni europee.
Ma anche nelle squadre qualcosa è cambiato: stavolta entrambe portano in dote il titolo nazionale conquistato sul morire della scorsa Primavera e, in particolare, l’Inter arriva a questa sfida con ben altra consapevolezza della propria forza, delle proprie ambizioni ma anche delle aspettative che la vogliono comunque protagonista anche in Europa.
Il momento, tuttavia, non è dei più sereni per entrambi gli ambienti: il City, a punteggio pieno in campionato, è in piena bufera finanziario-regolamentare con conseguenze ad oggi inimmaginabili ma che potrebbero anche essere catastrofiche ed è noto quanto tali situazioni siano capaci di diventare tarli nella testa dei calciatori.
Di contro l’Inter – più serena finanziariamente dopo il cambio di proprietà – ha vissuto un avvio di stagione nel quale ancora qualcosa non gira a dovere. I pareggi sofferti sui campi di Genoa e Monza hanno lasciato delle scorie anche nella mente di Inzaghi che sta realizzando alcuni punti che in realtà erano ben fermi nella sua mente anche prima di certe sbavature sul campo.
Mentre in alcune parti del campo la “rosa” nerazzurra è profonda anche in qualità al punto da far dormire sogni tranquilli al tecnico di Piacenza (Barella/Frattesi; Di Marco/Carlos Augusto; Darmian/Dumfries; tutto il reparto difensivo) in due ruoli cardine, fondamentali per il funzionamento di quella che ha dimostrato poter essere una macchina perfetta, non è così.
Al di là delle frasi di circostanza il campo dice che ad altissimi livelli oggi l’Inter non ha un sostituto adeguato per Calhanoglu e la stessa cosa vale – in parte – per gli attaccanti.
Se il turco non è della partita o non è in condizione, purtroppo oggi Asllani non è in grado di prendere in mano le redini della squadra e conferirle ritmo, tempi di gioco che, infatti, sono stati la pecca più evidente delle sbavature sia a Genova che a Monza e anzi, probabilmente, Inzaghi farebbe bene a “battezzare” in questo ruolo di vice Calhanoglu il neoarrivato Zielinski.
Davanti la faccenda è ancora più complessa, con Lautaro e Thuram che trovano solo in Taremi una spalla importante, mentre Correa e Arnautovic sembrano più obbligati dagli eventi a stare nel progetto che farne parte realmente.
La settimana, tra City e Milan, offre a Inzaghi la possibilità di salire nuovamente da padrone sulla giostra o, in caso di risposte negative, anche in termini di risultati, avvitarsi in una crisi che a quel punto sarebbe dichiarata. Ma una cosa per volta: si parte dall’Etihad Stadium e il battesimo non poteva essere più attendibile.