Risultati, crescita societaria, percorso aziendale, organizzativo, economico/finanziario e tecnico che hanno portato il club bergamasco ad essere uno dei più solidi modelli del calcio mondiale (con buona pace di quel caro ragazzo di Andrea Agnelli che ha costretto la casa madre Exor a sborsare cifre esorbitanti per le sue megalomanie poggiate sul nulla mentre sottolineava che proprio l’Atalanta in una Superlega non ci può stare) sono sotto gli occhi di tutti.
Quello che, invece, è stato analizzato poco (e male) è l’aspetto più strettamente “da campo” che – unitamente alla sapiente scelta dei calciatori – ha generato il fenomeno tecnico-tattico che oggi si chiama Atalanta.
In una narrazione ex post che voglia essere libera e scevra dai condizionamenti derivanti dagli ingombranti blasoni di quasi tutte (o tutte) le squadre che in più di un secolo hanno scritto pagine di storia eterne, l’Atalanta di Gasperini non può – in tutta onestà – non occupare un posto di svolta, non può non essere un paradigma di innovazione nel percorso tattico della storia del football italiano.
Sissignori, questa Atalanta potrebbe avere segnato una via, al pari del metodo e del sistema, di Pozzo e del Grande Torino o dell’Honved di Puskas, dell’Inter di Herrera, del Milan di Rocco, dell’Olanda di Michels del Torino di Radice, del Napoli di Vinicio, del Milan di Sacchi, dell’Ajax di Van Gaal o del Barcellona di Guardiola.
Esagerato? Proprio no, se si riesce a spogliarsi del preconcetto per il quale l’Atalanta non vale, mentalmente, un Barcellona.
Ma la storia, molto spesso a fianco o addirittura al posto dei protagonisti in qualche modo predestinati o, comunque, attesi, la scrivono soggetti e realtà che non si presentano alla festa con abiti scintillanti ma con vestitini semplici, sobri ma eleganti al tempo stesso, soprattutto, sul piano della proposta, del modo di comunicare se stessi e ciò di cui si è portatori.
La mano di Gasperini: la tattica difensiva dell’Atalanta
Fuor di metafora Gian Piero Gasperini potrà risultare antipatico a qualcuno (Dio ci liberi dal cattivo gusto di voler andare d’accordo tutti diceva Nietzsche), ma la mano con la quale ha plasmato prima l’idea tattica di questa Atalanta e poi gli interpreti che hanno portato sul campo questa sua idea di calcio sa – in qualche modo – di estro, inventiva italiana, abbinate ad un pragmatismo prussiano, a una disciplina asburgica e ad un’applicazione metodologica permeata di pervicacia e serietà di applicazione tutte bergamasche.
In buona sostanza (lontani dalla pretesa di essere esaustivi, vista la vastità del tema e anche le necessarie competenze specifiche) partiamo dall’assunto che – è pacifico – la mano dell’allenatore in una squadra si vede per lo più nella fase difensiva (scelta del numero e della posizione dei difendenti, porzione di campo dove cominciare ad attaccare il portatore di palla avversaria, numero dei calciatori sotto palla, interscambi tra di loro), atteso che l’estro affidato all’inventiva dei protagonisti può e deve essere lasciato libero nella fase di possesso palla e non in quella della tutela della propria porta che, invece, deve rispondere a regole ferree.
Da un po’ e passata una certa idea per la quale l’Atalanta di Gasperini è tornata a giocare “a uomo”, a prendere gli avversari “uomo contro uomo”. Ma, detta così, non solo è banale, ma rischia di essere talmente fuorviante da portarci completamente fuori strada.
Difesa a uomo: il metodo dell’Atalanta
Eh si, perché in primis non è possibile sganciare concettualmente, sul piano delle scelte, la fase offensiva da quella difensiva: se vuoi attaccare con tanti uomini (e per essere pericoloso sei obbligato a farlo tranne che tu non abbia 3 fenomeni assoluti davanti) devi accettare di restare in parità numerica dietro e per questo devi creare calciatori difendenti che siano pronti al duello in campo aperto. Solo così puoi portare molti attaccanti su quando sei in possesso di palla.
La modernità di Gasperini sta nell’avere compreso, inseguito, esasperato tutto questo (anche grazie ad una preparazione atletica ai limiti del sopportabile) e nell’aver trasmesso, insegnato ai suoi calciatori questo tipo di mentalità che, per l’appunto, è quella europea.
Da sempre in Italia (e non solo) la difesa è stata ritenuta tale solo se i difensori potevano lavorare in superiorità numerica rispetto agli attaccanti e non a caso il “libero”, inventato in Svizzera dallo svizzero Rappan, poi attecchisce subito in Italia attraverso Villini, Rocco, Viani, Foni, Herrera e poi praticamente tutti, perché i difensori devono essere numericamente superiori agli attaccanti.
Per decenni per mandare nel panico un difensore – e, conseguentemente, il suo allenatore – era sufficiente lasciarlo in uno contro uno col suo avversario e ciò avveniva anche quando si usava soltanto la marcatura a uomo, giacchè, nelle vicinanze dell’area, come detto, interveniva il libero – si intende staccato, non in linea – a levare le castagne dal fuoco.
Ecco, prepararsi duramente al duello uno a uno, sul piano tecnico-fisico ma anche su quello mentale accettando i rischi che questo comporta (giacchè, ovviamente lo si può perdere e qua non c’è più il libero a coprire) è stato il primo passo della rivoluzione di Gasperini.
Una rivoluzione che, tra l’altro, prevede che il libero, in effetti, ci sia ancora, ma sia… il portiere.
E l’arte del marcamento, della colluttazione fisica, tattica, mentale, una volta terreno in cui gli italiani erano maestri, è la base di questa Atalanta che, proprio per tale motivo, non è l’Atalanta dei miracoli, ma l’Atalanta del lavoro, dell’applicazione, della personalità figlia dell’abnegazione e queste, come diceva il compianto Vialli, sono tutte caratteristiche che possono tranquillamente essere messe sul piatto anche da parte di chi dovesse essere povero di talento (anche sul concetto di talento, però, si potrebbero aprire discorsi infiniti).
Ma c’è qualcosa di ulteriore che rende la squadra di Gasperini una squadra vera: il “passarsi” l’uomo, lo “scalare” con grandissima naturalezza, pur all’interno di quei meccanismi di cui si diceva sopra, porta a un livello superiore di lettura tattica, schiude la porta a scenari organizzativi e di automatismi di altissimo livello e questa è roba che si allena, che si crea con l’allenamento e soprattutto credendo ciecamente in ciò che si fa, anche quando – magari all’inizio del percorso – proprio non ne funziona una.
I continui “cambi a due” tra i giocatori della Dea sono finalizzati a continuare nella scelta di uno contro uno ma, al tempo stesso, di evitare di farsi portare in giro per il campo da avversari molto mobili e, fatalmente, prima o poi, perderseli tra le linee.
E questa cosa, portata all’infinito, fin quasi allo sfinimento, chiude tutti gli spazi e costringe gli avversari a retrocedere mentre la squadra di Gasperini si ricompatta.
Questo è un piccolo, piccolissimo spaccato di ciò che he reso l’Atalanta davvero unica nel panorama internazionale – almeno rispetto alla caratura tecnica dei suoi interpreti se paragonati a quelli delle big del calcio europeo.
La lezione è che la visionarietà si può coniugare con lo studio, l’applicazione, il lavoro sul campo, perché, come diceva Crujiff, la fantasia non è nemica della disciplina…