Le prime indiscrezioni parlavano di malore, poi è emersa la verità. Seid Visin ha deciso volontariamente di mettere fine alla propria vita, si è suicidato a causa del razzismo. L’ex calciatore di Milan e Benevento ha spiegato il motivo del suo gesto in una lettera. “Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone. Io non sono un immigrato. Sono stato adottato da piccolo. Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto. Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro“.
Seid Visin ha anche rivelato di aver insultato altre persone per essere accettato: “dentro di me è cambiato qualcosa, come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, bianco. Facevo battute di pessimo gusto su neri e immigrati, come a sottolineare che non ero uno di loro. Ma era paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati. Non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente ‘Vita’”.
Il racconto di Filippo Galli
Filippo Galli, ex responsabile del settore giovanile del Milan è visibilmente commosso come riporta la ‘Gazzetta dello Sport’. “Sono sconvolto. Lo ero dopo aver saputo della sua morte, ma adesso ancora di più dopo la lettera. Devo dire che all’epoca non mi risulta ci fosse qualcosa che covava sotto la cenere in termini di tematiche razziste, però Said presentava alcuni connotati di fragilità, di cui si occupava l’area psicopedagogica del club. Era un ragazzo sorridente e allo stesso tempo timido e abbastanza chiuso, con un’intelligenza e una sensibilità superiori alla media. Molto educato. Era arrivato da noi da Nocera attraverso lo scouting, poi ci aveva lasciato per andare al Benevento. Ciò che è successo ci obbliga a porci molte domande, anche sulle modalità dell’approccio ai ragazzi per chi opera nel nostro ambiente”.