Kakà, il motivo per cui non andò all’Inter e l’impatto con Ancelotti. Le battute di Moggi e il santino a Giggs

Si rinnova il classico appuntamento con la nostra rubrica "L'uomo del giorno". Protagonista di oggi è Kakà, ex asso brasiliano del Milan

CalcioWeb

Ricardo Izecson Dos Santos Leite, meglio noto come Kakà, è stato uno di quei calciatori per i quali basta il nome a descriverli. Cresciuto nel San Paolo, con il quale ha vinto un torneo Rio-San Paolo e un Supercampionato Paulista, nel 2003 si è trasferito al Milan, dove in sei stagioni ha conquistato un campionato italiano, due Supercoppe UEFA, una Supercoppa italiana, una Champions League e un Mondiale per club. Dal 2009 al 2013 ha vestito la maglia del Real Madrid, vincendo una Coppa di Spagna, un campionato spagnolo e una Supercoppa spagnola. Successivamente ha fatto ritorno prima al Milan e poi al San Paolo mentre dal 2015 al 2017 ha militato nell’Orlando City. Con la nazionale brasiliana ha partecipato a tre Mondiali (2002, 2006 e 2010), vincendo quello del 2002, e due FIFA Confederations Cup (2005 e del 2009), vincendole entrambe. Kaká ha un fratello più giovane, Digão, anch’egli ex calciatore. Fu proprio grazie a lui che nacque il soprannome Kaká, dato che da piccolo non riusciva a pronunciare il nome Ricardo; originariamente il nome veniva storpiato in Cacá, ma poi Ricardo sostituì la lettera “c” con la “k”. Si è sposato due volte (la prima con Caroline Celico, la seconda con Carol Dias). E’ arrivato vergine al matrimonio, in quanto molto credente e ha due figli: Luca Celico Leite e Isabella, nati dalla prima relazione.

I tifosi del Milan ricordano di lui le imprese in campo, la memorabile serata di ‘Old Trafford’, la cavalcata nel derby della rimonta da 0-2 a 3-2. Ma non tutti sanno come nacque Kakà al Milan. In primis c’è da dire che il brasiliano rischiò di finire all’Inter, come ha raccontato Gaetano Paolillo, agente FIFA, in un’intervista a ‘TuttoMercatoWeb’: “Marco Branca (ai tempi direttore sportivo dell’Inter), prima di acquistare la ‘stella emergente brasiliano’, si consultò con Hector Cuper. Quest’ultimo bloccò l’arrivo del brasiliano per una questione di schemi, visto che l’allenatore argentino giocava con il 4-4-2 e trovava pertanto difficile collocare in formazione il promettente brasiliano”. Un bene per il Milan.

Il primo impatto con Ancelotti, o meglio la prima impressione non fu delle migliori, come racconta lo stesso allenatore nella sua autobiografia ‘Preferisco la coppa’: «All’inizio per me stavamo parlando di un acquisto al buio, poiché non l’avevo mai visto, nemmeno in cassetta, e una punta di preoccupazione ovviamente c’era. Tutti mi dicevano la stessa cosa: ‘Si, ha delle potenzialità, però non è velocissimo. In italia potrebbe trovare difficoltà negli spazi stretti…’. Non svelo i nomi dei miei informatori per evitare a tutti loro una brutta figura. Moggi poi da Torino iniziò a bombardare con battutine del tipo: ‘con quel nome lì in Italia è spacciato’, ‘non abbiamo voglia di Kakà‘, ‘alla Juve siamo tutti stitici’… Era puro cabaret e mi venne un dubbio: stai a vedere che ha ragione Lucianone, e non sarebbe una novità. Quando lo vidi la prima volta mi misi le mani nei capelli: occhialini, pettinatissimo, faccia da bravo ragazzo, solo non vedevo la cartella con i libri e la merendina. Oddio, abbiamo preso uno studente universitario. Benvenuto all’Erasmus».

«Finalmente un bel giorno si presentò da noi per allenarsi. Prima domanda che avrei voluto fargli: ‘Hai avvertito papà e mamma che oggi non vai a scuola?‘. Poi però è sceso in campo e… Apriti cielo. Ma apriti per davvero… Con il pallone tra i piedi era mostruoso. Uno dei giocatori più forti che abbia mai allenato. Al primo contrasto si trovò di fronte Gattuso, che gli diede una spallata terrificante, ma non riuscì a rubargli il pallone. Rino la prese con estrema filosofia, allietandoci anche con un dolce pensiero, conseguente a quell’azione: ‘ma vaffancul!’. A modo suo stava promuovendo il suo nuovo compagno. Il quale, dopo aver tenuto il pallone, ha fatto un lancio di trenta metri, fregando anche Nesta che non riuscì a intercettarlo. No, aspetta un attimo, c’è qualcosa che non va. Signore mio che calciatore ci hai spedito quaggiù? Primo, secondo, quinto allenamento, sempre uguale. E ho pensato Caro Moggi, sarà perché mangio tanto, ma a me piace Kakà! Quando toglieva gli occhialini e infilava i mutandoni, diventava quello che non ti saresti mai aspettato: un fuoriclasse meraviglioso».

Un altro aneddoto lo ha raccontato un fuoriclasse di questo sport, Ryan Giggs, che se lo trovò di fronte in una delle sue serate migliori: «Se mi chiedete un giocatore che mi ha fatto innamorare, per la sua classe, eleganza e personalità dentro e fuori dal campo, vi dico Ricardo Kakà. Era la semifinale di andata all’Old Trafford, quella sera era imprendibile, aveva quel tocco di magia in più che in serate come quella fanno la differenza. Non lo avevo mai visto giocare dal vivo fino a quel momento. Ci fu un episodio, in cui Ricardo fece un fallo a centrocampo, ed io protestai con l’arbitro (chiaramente sbagliando) per una sua possibile ammonizione. Vedendo quel gesto, si alza e mi prende per il collo. Sapevo che era un timorato di Dio, un religioso, pensai dentro di me: ‘Uno che professa la parola del Signore mi prende per il collo?’ Finito il Match, dentro i nostri spogliatoi venne Gattuso a dirmi che Ricardo voleva chiarire. Gli dissi ‘nessun problema siamo uomini’. Ricardo mi abbracciò, e mi regalò un’immagine di Dio, dicendomi che in quel momento non si rese conto del gesto. Gli dissi: ‘Ricardo, no problem, siamo calciatori, ed in campo ci trasformiamo a volte, ci stiamo giocando una Champions, può capitare. ’Gattuso tradusse il tutto, e lui si inginocchiò davanti a me ringraziandomi. Tutto lo spogliatoio applaudì, ci scambiammo anche la maglia. Quel santino lo conservo ancora oggi, mi ricorda uno dei momenti più significativi della mia carriera».

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