Riapertura stadi: che confusione, sarà perché tifiamo? I 1000 spettatori sono un “contentino” e così ognuno fa quello che vuole…

Tra confusione, 'contentini' e parole contrastanti, alla fine, sulla questione stadi, ognuno fa un po' quello che vuole: ci risiamo?

CalcioWeb

Che confusione, sarà perché tifiamo? I ‘Ricchi e Poveri’ ci perdonino, anche se questa frase la si è sentita pronunciare spesso nelle Curve d’Italia. Quelle che cantano, urlano e tifano – appunto – ma che adesso non lo possono fare più per ovvie ragioni. Ma sarà proprio perché tifiamo, tutti, che proprio tutti abbiamo bisogno di sapere che cosa sta accadendo sulla questione riapertura degli stadi nel nostro paese.

Così come fu per la ripartenza del campionato, anche in questo caso ci ritroviamo a dove “copiare” eventualmente le mosse di chi ci ha preceduto, che però ha voluto e saputo rischiare nonostante dei numeri in termini di contagio peggiori dei nostri. Lo ha fatto in nome di un ritorno alla normalità su cui ha agito tanto e parlato poco, così come per il tema scuole. Gli stadi, ad oggi, NON riaprono. Perché ospitare 1000 spettatori significa non riaprire. Anzi, è proprio un “contentino“. Un contentino a quei tifosi che ancora ci credono, a quei club che attendono risposte all’infinito, a quei dirigenti in Lega e Federazione che si vedono rifiutare programmi stilati da mesi con cura per poi ritrovarsi nel gioco in cui “ognuno fa come vuole”.

Fa come vuole l’Emilia Romagna, a cui seguono Veneto e Lombardia, che firmano l’ordinanza per ospitare 1000 spettatori dopo le parole di ieri del ministro Spadafora. E così le zone d’Italia con più contagi giornalieri si ritrovano ad aprire ai tifosi, mentre quelle dove sono appena 20 o 30 non lo fanno. E magari, qualora lo facessero, si ritroverebbero comunque penalizzate da un sistema in cui hanno accesso 1000 persone indistintamente con regioni a 20 o a 500 casi positivi quotidiani o indistintamente in stadi da 10 mila o da 80 mila posti. Una scelta senza senso, una scelta illogica frutto di improvvisazione e superficialità. Così come quanto già visto in tempi di lockdown, anche adesso ci si ritrova di fronte a questioni trattate in maniera omogenea quando, in realtà, di omogeneo c’è ben poco.

E (giustamente!) De Siervo e Dal Pino si fanno sentire, parlando di “caos “, di situazione “surreale“, di “Serie A inascoltata“, di “ministro che rischia di far saltare in aria un sistema se non riesce ad averne la giusta attenzione“. Già, lo stesso ministro che prima della ripartenza del campionato glissava sul tema perché “adesso scusatemi ma devo pensare a scuole di danza e palestre“. Ci risiamo?

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