Paolo Di Canio, dal fascismo alla spinta all’arbitro. Il gesto di fair play e il terribile scherzo a Mudingay

Si rinnova il classico appuntamento con la nostra rubrica “L’uomo del giorno“. Protagonista di oggi è Paolo Di Canio, ex attaccante di Lazio e West Ham

CalcioWeb

Paolo Di Canio nasce a Roma il 9 luglio del 1968. Ben presto viene soprannominato ‘er Pallocca’ (il cicciottello in romanesco) per quella sua irrefrenabile passione per Coca-Cola e cioccolato, che lo rende sovrappeso fin dall’infanzia. Ribelle sin da bambino. Famiglia romanista, lui inizia con la Lazio. Oltre a quella biancoceleste indosserà le maglie di Ternana, Juventus, Napoli e Milan nella prima parte di carriera italiana. Nel 1996 si trasferisce in Scozia e si avvicina allo stile di calcio “british”, congeniale a lui. Al Celtic di Glasgow viene eletto giocatore dell’anno ma litiga con la dirigenza per alcuni aspetti del contratto. Così, nel ’97, arriva in una Premier League. Qui diventerà una leggenda. Una stagione con la maglia dello Sheffield Wednesday in cui i tifosi impazziscono per lui. Poi l’indimenticabile parentesi al West Ham, con i tifosi degli Hammers che cantano ancora oggi in suo onore. A Londra si toglie di dosso l’etichetta di “bad boy”. Una stagione meno proficua con il Charlton, poi il ritorno in Italia: Lazio prima, Cisco Roma poi per chiudere la carriera. E’ il 27 gennaio 2008, Serie C2, sfida interna contro il Benevento persa dalla sua Cisco Roma per 2-4: segna una doppietta, insulta l’arbitro e rimedia 4 giornate di squalifica. Il riassunto della sua carriera. Ha poi allenato con alterne fortune. Con lo Swindon Town ha ottenuto la promozione dalla League Two alla League One, mentre al Sunderland non è riuscito a replicare. Oggi conduce un approfondimento sulla Premier League su Sky ed è molto apprezzato anche come commentatore tecnico.

È sposato con Elisabetta, dalla quale ha avuto due figlie, Ludovica e Lucrezia. Nel settembre del 1999 Paolo Di Canio ha realizzato un cortometraggio come attore dal titolo Strade Parallele. Girato in quattro settimane, è stato realizzato dal regista Luca Borri. Ha anche recitato, in Inghilterra, per uno spot della Imperial Bathtime. Suo padre e i tre fratelli erano politicamente di sinistra e di fede romanista. Lui diventerà una bandiera della Lazio e un simbolo del tifo di estrema destra. Fascista. Un tatuaggio con scritto “Dux” in bella vista sul braccio. Si ricorda ancora per un gol nel derby, per il quale esultò alla sua maniera, con il saluto romano verso gli “Irriducibili”. E’ anche un appassionato giocatore di Footgolf, uno sport che ne unisce altri due.

Noto per le sue uscite sopra le righe e per qualche frase forte come: “Ci sono due modi per tornare da una battaglia: con la testa del nemico o senza la propria”, massima che esprime al meglio il suo carattere ma anche la voglia di combattere sempre. Paolo Di Canio, da ragazzo, ha spesso fatto il raccattapalle all’Olimpico: “Anche io venivo istruito quando giocavo nella Lazio giovanile e facevo il raccattapalle. C’era il famoso Topolino, un signore piccolino, che ci dava le istruzioni. Non c’erano tanti palloni, quindi quando vincevamo ci dicevano di rallentare, fare finta di essere infortunati. Al contrario, quando perdevamo era sempre Topolino che ci gridava addosso per farci sbrigare”, ha raccontato del ‘Senza giacca’ a ‘Sky Calcio Club’.

Curioso siparietto con Costacurta. Di Canio ha raccontato l’episodio di un Napoli-Milan del passato: “Alessandro adesso fa il signorino e il preciso, ma ricordo che in una partita mi tirò l’orecchio in campo, mi girai e dietro di me c’era Costacurta. Lui tirava le orecchie in campo, ma io dopo mi sono vendicato con certi calcioni…”.

Anche molto simpatico e burlone Di Canio. L’ex Lazio nel 1993 era in uscita dalla Juventus e fu proposto al Genoa, ma non voleva andarci.Non volevo andare al Genoa – rivela a Sky – e così mi presentai all’incontro con Spinelli vestito male e con i jeans strappati. Durante l’incontro misi il piede sul tavolino, mi toccai gli attributi ‘alla Verdone’, insomma feci di tutto per farmi mandare via a calci. Terminato l’incontro, dissi al mio procuratore Roggi: ‘E quando ci prende questo qui?’, convinto di avercela fatta. Dopo mezz’ora mi telefonò Spinelli dicendomi che ero l’uomo che cercava. Però io non volevo andarci e alla fine non andai”.

In Inghilterra si rese protagonista di due episodi agli antipodi. Una spinta all’arbitro Paul Alcock, che lo fece ruzzolare goffamente a terra dopo un’espulsione, in un Arsenal-Sheffield Wednesday: “Fu un errore, ora vi spiego perché. Patrick Vieira, che aveva giocato con me al Milan per 6 mesi, stava all’Arsenal e aveva appena avuto un contrasto con un mio compagno: io mi metto in mezzo per dividere. Poi mi arrivò una gomitata, io reagii e alla fine l’arbitro mi buttò fuori. Appena rientrato negli spogliatoi, tutti mi dicevano “Go back to Rome” (“Torna a Roma”). In tutto ciò venni a sapere che Nicola Roggero faceva la telecronaca e mi diede molto fastidio la spocchia con cui descrisse l’episodio. Ho pensato che l’avrei lasciato per terra appena lo vedevo, ma poi siamo diventati grandi amici”.

L’altro episodio e il celebre gesto di fair play in Everton-West Ham, quando sul risultato di 1-1 a pochi minuti dalla fine bloccò il pallone in posizione più che vantaggiosa perché il portiere avversario era a terra: “Tutti quanti in quel momento mi acclamavano. C’erano tutte queste maglie blu che si congratulavano con me, è stato incredibile. Poi però a partita finita, arrivo per ultimo nello spogliatoio perché i giocatori dell’Everton mi avevanno fermato: entro ed erano tutti in silenzio. Mi guardavano tutti storto, mi scansavano, nessuno voleva parlarmi. Sono andato in doccia con la schiena parata, ma a un certo punto mi arriva un sacchetto di ghiaccio da Stuart Pearce sulla guancia. Inizialmente gli ho chiesto se fosse pazzo, dopo qualche secondo ho realizzato che stesse facendo sul serio ed è scoppiato un casino. Una rissa come ai vecchi tempi”. Un gesto, quello in campo, che lo elevò ad eroe nazionale.

Gaby Mudingayi, suo ex compagno alla Lazio, ha raccontato un aneddoto in un’intervista a ‘Casa Di Marzio’: “Partiamo dal presupposto che io ho paura dei cani e Di Canio lo sapeva. A qualche giorno dal nostro primo derby Paolo aveva invitato tutti i nuovi a casa sua: c’eravamo io, Belleri, Tare e Behrami. Più il rottweiler di Di Canio. Loro erano tutti d’accordo. Siamo entrati e c’era il cane legato in giardino: comincia ad abbaiare, così dico agli altri di muoversi. Ma intanto quel bestione esce da dietro, io non lo vedo e sento qualcosa che mi salta addosso: ‘m’ha morso il cane, m’ha morso il cane‘, inizio a urlare. Ma era Di Canio che mi faceva uno scherzo. Mi sono stirato per lo spavento. Fuori un mese. Ovviamente l’episodio è rimasto tra di noi: pensa se l’avesse scoperto l’allenatore”.

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