Gattuso re di Napoli, in sei mesi ha conquistato tutti. Il trionfo di un uomo vero, riemerso dal dolore

Sesta Coppa Italia per il Napoli, primo trofeo da allenatore per Gennaro Gattuso. E' lui l'artefice di questa vittoria: un uomo vero in un mondo falso

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Il Napoli ha vinto la Coppa Italia. E lo ha fatto con merito. Gli azzurri hanno eliminato prima la Lazio e poi l’Inter, due squadre che in campionato sono davanti e di parecchio anche. E in finale hanno battuto la Juve, con Buffon a salvare i bianconeri dalla debacle nei 90′ regolamentari. Una squadra fortissima nei singoli, che nelle gare secche potrebbe battere chiunque ma che, come dimostra il campionato, soffre sul lungo periodo. Ma guai a sottovalutare i partenopei per il finale di stagione. Nove punti dall’Atalanta sembrano tanti, ma ricordiamo che c’è stato lo stop forzato per il Coronavirus e che ora saranno dodici finali. E il Napoli ha dimostrato di poter battere chiunque. Anche quel Barcellona incontrato mesi fa al San Paolo e che ora aspetta gli azzurri al ‘Camp Nou’. Messi e compagni hanno ripreso da dove avevano finito nella Liga: vincendo. Due partite, sei punti. Ma ora si tratta di una gara secca. E tutto può succedere. E chissà che una vittoria in Spagna non apra nuove possibilità, nuovi sogni al Napoli. La formula final eight sembra fatta ad hoc…

Ma c’è un uomo che ha reso possibile tutto questo e che, anche se non ama stare al centro dell’attenzione, va celebrato: Gennaro Gattuso. Un guerriero sia da calciatore che da allenatore. È il simbolo di questo successo, un uomo che è riuscito a rimettere insieme i cocci, a ricostruire un puzzle che sembrava inestricabile. Un uomo arrivato a dicembre e che in soli sei mesi ha risollevato una squadra sfiduciata, avvilita dalle vicissitudini di inizio stagione: l’esperienza no con Ancelotti, l’ammutinamento, le multe, i ritiri. Una stagione impossibile da salvare, o quasi. Perché quel quasi si chiama Gattuso. L’allenatore calabrese ha plasmato il Napoli a sua immagine e somiglianza, uno abituato a lottare, sempre. E i calciatori si sono messi a disposizione, hanno lottato per lui, tutti compatti. Ha ridato un’identità, ha ricostruito uno spogliatoio. Un calcio semplice, senza arzigogoli. Dieci giocatori pronti a sacrificarsi l’uno per l’altro, mosse che si sono rivelate vincenti.

Un mondo in cui l’allenatore non è da solo, ma è circondato dai giocatori, sull’attenti per le sue parole. Un discorso da grande condottiero, da comandante. E loro come bravi soldati a recepire gli ordini. Un leader. Da calciatore ad allenatore non è cambiato nulla. Urla, incazzature, qualche intervento duro quando serve. Ma stavolta niente cartellini gialli, solo grande rispetto e soddisfazioni. La prima da allenatore. Una Coppa Italia che è soprattutto sua. E i calciatori lo sanno. C’è chi piange, come Callejon che sa che potrebbe essere l’ultima (o una delle ultime) gioie in maglia azzurra. E ‘Ringhio’, vedendolo in disparte, lo ha lanciato in mezzo ai compagni, in mezzo a quel gruppo che lui ha creato e cementato. Un gruppo che sa soffrire, come il suo allenatore.

Cuore, grinta, tanto spirito di sacrificio e quel senso di appartenenza che ha sottolineato lo stesso Gattuso a fine gara. E Napoli, città verace, si è subito innamorata di un tecnico che la rispecchia in tutto e per tutto. Grande cuore, senso del dovere e grande umanità. Uno che dopo aver vinto il primo trofeo della sua carriera da allenatore riunisce i suoi in cerchio e inizia ad esaltarli e a spronarli: “Ho visto cuore, ho visto carattere. Qui c’è gente che ha il contratto a scadenza e andrà via e li vedo piangere… ma ho visto carattere, professionalità, cuore. Avete dimostrato tanto. Voglio vedere il veleno sempre, lo sapete. Ora giochiamocela sempre alla grande. Bravi, sono orgoglioso di voi“. Discorso al quale si sommano le parole miste di gioia e dolore nell’intervista post-gara ai microfoni della Rai: “La vita mi ha dato più di quello che ho fatto, il calcio mi ha fatto uomo, io ho dato molto meno. La scomparsa di mia sorella è stata durissima, non la digerisci mai. Chi fa questo lavoro deve avere rispetto: perciò tante volte mi arrabbio, io l’ho fatto per tantissimi anni, dai miei giocatori voglio senso di appartenenza, e appunto rispetto. Si deve lavorare con serietà, perché poi c’è sempre un Dio del calcio se fai le cose bene. Champions? I sogni sono molto importanti nella vita: il nostro dovere è fare queste ultime 12 partite con rispetto. Abbiamo tanti giocatori, tutti avranno spazio, abbiamo il dovere di provarci”.

Quel Dio del calcio ha voluto premiare l’uomo Gattuso. Ha voluto ripagarlo dei sacrifici fatti, della gavetta, per le perdite. Una tragedia che lo ha scosso profondamente la morte della sorella Francesca, alla quale era molto legato e alla quale ha dedicato la vittoria. Un dolore che Rino ha vissuto con la sua solita grande forza. Poi una piccola grande gioia al momento giusto. La vittoria di un grande uomo, prima che di un grande allenatore. Uno che è partito dal basso, dalla sofferenza. Ancor prima del ritiro dal calcio giocato arriva l’esperienza in Svizzera al Sion, da giocatore-allenatore. Un rapido passaggio a Palermo, con Zamparini che lo ha annoverato nella sua lista di esonerati. Poi l’esperienza in Grecia, all’OFI Creta. Qui lavora in condizioni estreme, calciatori senza stipendio e strutture inadeguate. Poi il famoso sfogo in conferenza stampa. Nel 2015 si accasa a Pisa. Altra situazione per uomini forti, abituati a lottare. E, nonostante anni difficili per le questioni societarie, riesce a farsi amare anche in Toscana. Una promozione in Serie B, poi la retrocessione con onore (con una delle migliori difese del torneo cadetto). Un altro rapido passaggio nella Primavera del Milan, poi arriva la chiamata dei grandi. Quei colori che ha difeso e per cui ha lottato da calciatore, quel rossonero che lo porta a chiudere al sesto posto e alla riconferma. Poi un miracolo, perché con la rosa a disposizione riesce a giocarsi il quarto posto fino all’ultima giornata. E, incredibilmente, non viene confermato dal Milan. Ma il Napoli gli ha offerto una nuova possibilità e lui se la sta giocando alla grande. E poco importa se De Laurentiis ha detto che “ancora non riusciamo a battere la Juve nello scudetto”. Perché il presidente del Napoli ha poi aggiunto: “Ci riusciremo”. E come dargli torto con un allenatore così, uno che non mollerà mai. Un grande personaggio che è riuscito ad unire tutta l’Italia calcistica, anche quegli juventini che ieri sono usciti sconfitti. Un uomo onesto, sincero, senza peli sulla lingua, umile, come forse ce ne sono pochi ormai. Un uomo vero in un mondo troppo spesso falso.

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