«La morte di Giuliano non fu fatalità, ma un omicidio», continua a ripetere da 40 anni Marzia Nannipieri, moglie di Taccola. Nel 1966 Giuliano Taccola è un attaccante di 23 anni, classe 1943, possente nel fisico ma soprattutto velocissimo. Corre i cento metri in 11 secondi netti e nel campionato di Serie C 1965/66 ha realizzato 13 gol con la maglia del Savona. Fulvio Bernardini lo porta nella Capitale. Un anno al Genoa e poi l’esordio. Dieci gol nella prima stagione in giallorosso. Poi altri 7 nella stagione 1968/69, quando il rendimento di Taccola ha un crollo verticale. Febbre, malesseri vari, improvvisamente il giocatore sembra non reggersi più in piedi, ma il tecnico della Roma, Helenio Herrera lo schiera sempre. A febbraio del 1969 Taccola viene operato per la rimozione delle tonsille. Un intervento di routine ma durante l’operazione il calciatore subirà numerose emorragie. Il suo rientro in campo viene forzato e Giuliano sta sempre peggio. Viene schierato tra le riserve della Roma per riprendere il ritmo ma sviene in campo: una settimana dopo però gioca a Genova contro la Sampdoria, ma la sorte non gli dà tregua e si infortuna al malleolo.
Dieci giorni di stop e il 15 marzo 1969 un nuovo svenimento prima della partita contro il Cagliari. La Roma, stavolta, lo esclude dalla gara del giorno dopo. Allo stadio Amsicora di Cagliari, Taccola va in tribuna. Dopo la vittoria scende a festeggiare negli spogliatoi insieme ai compagni. Inizia a tremare e sviene. I medici provano a rianimarlo ma da quello spogliatoio Taccola uscirà senza vita. In questi 50 anni di ipotesi sulla morte di Taccola ne sono state fatte molte: l’autopsia indicherà un arresto cardiocircolatorio, senza ulteriori particolari. La ricostruzione più plausibile, per quanto ufficiosa e mai confermata, parlerà di un’endocardite, una rara infezione batterica al cuore, aggravata dall’operazione subita e dai continui tentativi di recupero, che in molti temevano fossero alimentati da strane iniezioni. Marzia Nannipieri, vedova a soli 24 anni e con due figli piccoli, non ha mai creduto a queste ipotesi.
Francesco “Ciccio” Cordova, calciatore della Roma che seguì da vicino la vicenda del suo compagno di squadra, raccontò: “Taccola non stava bene ma il mister lo voleva in campo a tutti i costi. Adottò il ricatto: la divisione dei premi partita secondo chi giocava. Taccola aveva fatto grossi investimenti in quel periodo, aveva bisogno di denaro e Herrera lo sapeva bene: ‘Niente partita? Niente dinero’ gli diceva. Il medico della Roma lottò fino all’ultimo per tenere Taccola a riposo. Ma nemmeno l’intervento del presidente Marchini cambiò le cose, quando al povero Giuliano saliva la febbre, gli faceva fare certe punture e lo risbatteva in campo”. Infine, c’è un inquietante aneddoto. Lo stesso Taccola, seduto in tribuna a Cagliari, tremava e sentiva che qualcosa non andava: “Non mi credono, ma io sto morendo. Sto morendo e non mi credono”.
«Né io né i miei figli sappiamo ancora cosa ha portato alla morte così assurda e prematura di Giuliano – le parole della vedova il 15 marzo 2008 – da quel giorno è stata chiusa qualsiasi strada per un lavoro nelle istituzioni sportive, pubbliche e private all’unico genitore rimasto, affinché i miei figli avessero un futuro dignitoso. Giuliano è deceduto sotto contratto e sul luogo di lavoro. È veramente sconcertante che in un paese civile e democratico come l’Italia nessuno si sia mai chiesto il perché di tutto ciò e nessuno sia mai intervenuto». A 51 anni di distanza, la morte di Giuliano Taccola rimane avvolta nel mistero.