Dino Zoff, figlio di Mario e di Anna, sognava di fare il portiere. E a volte si sa che i sogni diventano realtà. Tanti sacrifici come il padre. Mario Zoff lavorava nei campi dall’alba al tramonto per tenere in piedi la famiglia. Dino partiva ogni mattina in bicicletta verso Gorizia per andare a sistemare motori, l’altra sua grande passione. Portava a casa qualche soldo e riusciva anche a giocare a calcio. Piccolo e gracile, ma già a quindici anni faceva parlare di sé. Vennero a vederlo Inter e Juve, ma ai provini lo scartarono. Fine del sogno? Niente affatto. Torna a lavorare, cresce fisicamente, suda e si sacrifica. Con i motori ci sapeva davvero fare, sarebbe stato un buon meccanico. Diventerà una leggenda, ma da portiere.
Alla fine, qualcuno finalmente notò il portiere della Marianese. Si chiamava Comuzzi e faceva l’osservatore dell’Udinese in giro per il Friuli. Il 24 settembre del 1961, Luigi Bonizzoni lo fa esordire contro la Fiorentina. Una domenica da incubo, Dino incassa cinque reti. Poi anni difficili in Serie B. A salvarlo fu di nuovo Bonizzoni, a Mantova. Tre stagioni in A e una in B. Compagni come Sormani e Schnellinger. A Mantova trova anche l’amore, Annamaria. Doveva andare al Milan, invece si trasferì al Napoli. Cinque stagioni che gli aprirono le porte della Nazionale. Vive da protagonista il trionfo del 1968, va ai Mondiali del Messico da secondo. Nel 1972 arriva la Juventus.
Undici stagioni con la Vecchia Signora, ricche di trionfi. Un portiere atipico. Non amava la spettacolarità, ma puntava sull’efficacia. Sei scudetti, una Coppa Uefa, due volte la Coppa Italia. E una serie di record. Gioca i Mondiali del 1974, del 1978 e soprattutto quello del 1982. In Argentina, Zoff sale sul banco degli imputati. Sta perdendo i riflessi, è vecchio. Incassa e sopporta in silenzio. Si prenderà la rivincita in Spagna, 4 anni dopo. Al 90° della semifinale tra Italia e Brasile inchioda sulla linea di porta il pallone colpito di testa da Paulo Isidoro, una parata iconica, leggendaria. Zoff diventerà campione del mondo a 40 anni. Dino Zoff chiude la carriera azzurra dopo 112 partite, per lungo tempo record assoluto per un giocatore italiano, sopravanzato ultimamente solo da Paolo Maldini e Cannavaro.
Il suo addio al calcio è commovente. Il 2 giugno 1983 dice “Non posso parare anche l’età”. Poi ha allenato. Juventus, Italia olimpica, Lazio, Nazionale italiana, Fiorentina. Più volte candidato al Pallone d’Oro, sfiorò la vittoria nel 1973, classificandosi secondo alle spalle di Johan Cruijff. Zoff ha detenuto a lungo il record di imbattibilità della propria porta in Serie A con 903 minuti. Successivamente è stato superato prima da Sebastiano Rossi (929 minuti), estremo difensore del Milan, poi da Gianluigi Buffon, considerato da tutti il suo vero erede sia alla Juventus che in Nazionale, che ha raggiunto quota 974 minuti.
Importantissima nella crescita di Zoff fu la nonna Adelaide. Grazie alle sue uova (e allo sviluppo) crebbe di 22 centimetri. Divenne 1,82 m e non fu più scartato (all’epoca dei provini era 160 cm). Qualche anno fa Zoff è stato colpito dalla malattia, come raccontò in un’intervista. Dopo il ricovero in ospedale, qualcuno vociferò la presenza di qualche “problema neurovegetativo”. In verità si trattava di alcune complicanze di origine virale che lo costrinsero a letto per diverse settimane. “Non ho avuto paura, ma vedi le difficoltà che hai. Uno come me che ha fatto undici anni di seguito in campo e non riuscivo ad alzarmi dal letto. Dici “che cavolo succede?”. Ne sono uscito lavorando consapevolmente e facendo quello che si poteva fare”.