Mike Tyson nell’incontro con Trevor Berbick per il titolo WBC
Las Vegas. Nevada. È il 1986 quando Mike Tyson sale sul ring per incontrare Trevor Berbick nel match che può consegnargli il titolo mondiale WBC. Tyson ha 20 anni e può diventare, vincendo, il più giovane campione del mondo dei massimi di sempre. Il record, prima di questo combattimento, appartiene a Floyd Patterson, diventato mondiale a quasi 22 anni, sotto la guida (quando si dice la coincidenza) dello stesso maestro che sta seduto all’angolo di Tyson questa sera: Costantino “Cus” D’Amato. L’avversario di Mike, il campione in carica, è il giamaicano Trevor Berbick, 32 anni, che si presenta sul ring con un cartellino degno di tutto rispetto: 31 vittorie, 4 sconfitte, 1 pareggio. Mike e Trevor sono due colossi: 100 chili e 400 grammi il peso di Mike Tyson, 99 chili e 100 grammi per Berbick. È il giorno dell’anniversario della morte di JFK, il 22 Novembre. L’America intera, e non solo l’America, è seduta davanti alla televisione per assistere a quello che si prospetta poter essere un avvenimento memorabile. L’arbitro, un tipo che assomiglia molto al Robert Duvall “consiglieri” del Padrino, dà le ultime istruzioni ai pugili. Poi suona il gong. Via. Berbick, che indossa degli improbabili calzettoni neri alti fin sotto il ginocchio, si becca tre sinistri al volto in pochissimi secondi. Quando Tyson lancia i colpi, l’aria si sposta persino nelle prime file del pubblico. Tyson è in forma smagliante. I suoi pugni fanno paura. Dopo avere incassato le prime tre “castagne”, Berbick allontana Tyson in maniera irregolare, come fosse un bimbo che non ha più voglia di giocare con il suo “fastidioso” amico e lo spinge via. Il problema è che Mike non se ne va. Anzi. Avanza. È solo la prima ripresa. La terribile prima ripresa che gli sfidanti di Tyson temono più della morte. E nonostante i colpi di Tyson arrivino più volte a segno facendo barcollare pericolosamente Berbick, il giamaicano finisce il primi round in piedi, mandando anche a dire qualcosa a Tyson appena suona la campana. Fossimo stati in lui, non lo avremmo fatto. Quelle parole, quell’atteggiamento di Berbick alla fine della prima ripresa, costano carissime a Trevor. Non appena inizia la seconda ripresa, Mike lo assale, e lo manda la tappeto dopo due secondi. Berbick si rialza, subisce il conteggio e ricomincia. Decide di abbracciare continuamente Mike, per accorciare la distanza e impedire la partenza dei colpi devastanti. Poi, improvviso come un lampo dal cielo, parte un gancio sinistro di Mike, un pugno invisibile, perché troppo veloce. E come diceva Ali, sono i colpi che non vedi quelli che ti mettono ko. Berbick va giù. Lentamente. Poi cerca disperatamente di rimettersi in piedi, ma mette in atto uno straziante balletto: le sue gambe si piegano, camminano, girano a vuoto, non sanno dove andare. Trevor finisce prima sulle corde, poi in mezzo ai fotografi, poi cerca di rimettersi in piedi, ancora, invano. Sembra un animale colpito a morte che si rende conto che la fine è vicina. E non ha più controllo del proprio corpo. Alla fine, cade, cede, crolla. È finita, per fortuna. Mike Tyson è campione. È nella storia.