Secondo Wikipedia, il 4-4-2, specificamente con il centrocampo in linea è il modulo più utilizzato nel calcio contemporaneo. E’ anche, insieme con il 4-3-3 il modulo “classico”, utilizzato praticamente dagli albori della modernità calcistica a tutte le latitudini. E’ il modulo che, in teoria, garantisce la copertura di tutte le zone del campo, permette agli esterni di arrivare sul fondo e crossare oppure, se “invertiti”, di accentrarsi e provare la conclusione e di essere supportati dai terzini sia in fase difensiva sia in fase offensiva con eventuali sovrapposizioni. Dà inoltre la possibilità alle due punte di dialogare ed esprimere al meglio le loro caratteristiche e ai centrocampisti centrali di mescolare nella zona nevralgica del campo qualità e quantità. Di fronte a un tale elenco di elementi favorevoli, qualsiasi allenatore non votato al calcio spregiudicato dovrebbe essere allettato dalla prospettiva di schierare un “11” così disposto, ma non bisogna dimenticare che il 4-4-2, tanto “classico” quanto apparentemente intramontabile, necessita degli uomini adatti a svolgere una determinata mansione tecnico-tattica: ogni adattamento, dunque, presenta dei rischi non indifferenti dal punto di vista della costruzione del gioco, della velocità della manovra e della copertura difensiva.
Prendiamo in esame, a questo proposito, una delle formazioni che sono riuscite a scrivere la storia del calcio con questo modulo: il Manchester United 1998-99 targato Sir Alex Ferguson, vincitore di Premier League, FA Cup e di un’indimenticabile Champions League in una finale thriller contro il Bayern Monaco al Camp Nou.
La formazione tipo di quello United presentava Peter Schmeichel tra i pali, Gary Neville e Phil Neville esterni di difesa, Jaap Stam e il norvegese Ronny Johnsen centrali, David Beckham e Ryan Giggs sulle fasce, Roy Keane e Paul Scholes interni e la coppia Cole-Yorke in avanti.
Facile rendersi conto di come questa squadra si conformasse totalmente alle caratteristiche delineate in precedenza: senza tralasciare la presenza di quello che probabilmente era il miglior portiere in quegli anni, ricordiamo che i fratelli Neville rappresentavano una coppia di terzini sostanzialmente perfetta in termini di equilibrio tra fase difensiva e offensiva, che la coppia di centrocampisti centrali, con la qualità di Scholes e la grinta di Keane rappresentava un cocktail perfetto, in grado di trasformare istantaneamente l’azione da difensiva a offensiva. Inutile dilungarsi sulla premiata ditta Beckham-Giggs, un duo di corsa, ma soprattutto di qualità da stropicciarsi gli occhi, che poteva garantire tanto cross col contagiri quanto conclusioni insidiose. Dwight Yorke e Andy Cole offrivano invece la combinazione ideale di atletismo e qualità in grado di scardinare le difese avversarie. Insomma, stiamo parlando di un puzzle perfetto, in cui i campioni a disposizione del manager scozzese potevano esprimere al massimo i loro punti di forza.
Tuttavia, un appassionato di calcio italiano sufficientemente attento, potrebbe storcere il naso rispetto alla premessa dell’articolo, in cui si sottolineano i “pro” del 4-4-2. In Italia, infatti, stiamo assistendo alla totale scomparsa di questo sistema di gioco al punto che, facendo una rapida analisi, si nota che soltanto l’Atalanta di Colantuono, tra le 20 che prendono parte al campionato di Serie A, continua ad utilizzarlo, e nemmeno in maniera “pura”, visto che spesso si configura come un 4-2-3-1.
Gli allenatori delle altre compagini preferiscono soluzioni differenti: si va dall'”abbottonato” 3-5-2 di Mazzarri, che vuole sfruttare la progressione degli esterni e la densità del centrocampo per imbastire efficaci azioni di contropiede, allo spregiudicato 4-3-3 di Zeman e del suo allievo Di Francesco, i quali si affidano invece alla freschezza e al dinamismo al fine di offrire un calcio spettacolare, coscienti del fatto che, a fare le spese di una tale strategia, è la fase difensiva.
In conclusione, l’abbandono del 4-4-2 potrebbe (forse troppo ottimisticamente vogliamo mantenere il beneficio del dubbio) essere l’ennesimo segno del calo qualitativo che il calcio italiano sta vivendo nelle ultime stagioni. Un calo che non permette più di mettere in campo un modulo che, se sfruttato come dovrebbe, rimane ancora il più efficace di tutti. La storia lo insegna.