Nicola Rizzoli si è sempre distinto nel mondo del calcio, sia per la sua enorme bravura sul terreno di gioco come arbitro, sia per la sua grande umanità fuori dal terreno di gioco. Anche in occasione della morte del collega Luca Colosimo, non ha perso l’occasione di distinguersi, condividendo sul proprio profilo Facebook la lettera di Cristiano Carriero, firma de ‘ilgiornaledigitale.it’:
La morte di Luca Colosimo, arbitro di Lega Pro, può e deve essere l’occasione per fermarci un attimo a riflettere sul valore delle passioni
“Non è il critico che conta; non colui che sottolinea come l’uomo forte sia caduto, o dove colui che doveva fare avrebbe potuto fare meglio. Il credito appartiene a colui che scende veramente nell’arena, la cui faccia è macchiata dalla polvere, dal sudore e dal sangue; colui che combatte coraggiosamente, che sbaglia, che manca l’obiettivo ripetutamente, perché non esiste sforzo senza errore e fallimento; a chi si sforza veramente di fare ciò che deve; chi conosce il grande entusiasmo, la grande devozione; chi si spende per una nobile causa; colui che nel migliore dei casi conosce il trionfo del grande risultato, e nel peggiore, se fallisce, almeno fallisce osando molto, cosicché il suo posto non sarà mai insieme alle anime timide e fredde che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta”.(Theodore Roosevelt – Cittadinanza in una Repubblica)
Quando andiamo in giro per la città la gente dice di noi “Quello è L’arbitro” siete orgogliosi di questa definizione? Vi piace? Se vi piace allora siamo qui per lo stesso motivo. Queste parole, pronunciate qualche settimana fa da Domenico Celi, arbitro di Serie A attualmente fermo per infortunio, durante la visita alla sezione di Jesi, ci torneranno utili nel corso di questo articolo. Un arbitro, infatti, è tale dentro e fuori dal campo. Essere arbitro vuol dire portare con sé alcuni valori come il rispetto delle regole, la correttezza, la puntualità e la dedizione. Certo non potevamo pensare che si potesse essere arbitri anche nel tragico momento in cui arriva la morte. È successo a Luca Colosimo domenica scorsa in un maledetto incidente di cui si è ampiamente parlato sui giornali. Luca tornava da Ferrara, dove era andato ad arbitrare. Ma in pochi sanno dove lavorava Luca. O cosa aveva studiato. Tutti sanno però che Luca era un arbitro.
È il destino che porta con sé quella divisa, e se la indossi con orgoglio nessuno potrà mai togliertela di dosso, neanche la morte. Si è detto di tutto, di bello, su Luca. Sarebbe persino ridondante tornarci su. Si è detto che non si può morire inseguendo una passione, ma non è vero. Si muore, purtroppo, facendo paracadutismo, arrampicata, andando in bicicletta, persino giocando a pallone. Di passioni si vive, di passioni si può anche morire. Quello che non si può sopportare sono i luoghi comuni, le verità che vengono fuori solo quando succedono le tragedie. Gli arbitri viaggiano da soli, in molti casi ad orari improbabili, la mattina presto o la sera tardi, dopo una giornata che ti logora fisicamente ma soprattutto psicologicamente. Spesso le madri chiamano e chiedono se va tutto bene. E gli arbitri rispondo “certo mamma, cosa vuoi che succeda, tra poco arrivo”. Molti tifosi pensano che viaggino in business class o in taxi e invece sono gli arbitri che guidano, gli arbitri che rischiano di addormentarsi, perché l’adrenalina l’hanno lasciata tutta in campo.
Non si può aspettare la morte per ricevere un applauso o una parola di incoraggiamento. Perché Luca, domenica, sarà stato insultato come tutti gli arbitri, su tutti i campi, per un fischio sbagliato o poco gradito. Magari qualcuno gli avrà “ironicamente” augurato di schiantarsi con la macchina al ritorno perché, in fondo, “fa parte del gioco, noi mica lo pensiamo davvero”. È colpa del destino, sia chiaro, ma voglio solo capire se dal prossimo fine settimana torneremo ad augurare la morte a ragazzini di 16 anni, rei di non aver fatto baldoria con i loro coetanei per andare a dormire presto, “perché domani ho la partita dei giovanissimi”. Perché è con questa cultura, con questa ipocrisia, con questi pensieri che ogni santa domenica un arbitro si confronta tornando a casa. Pensando e riflettendo sui propri errori, aggiungendo preoccupazione e tensione alla stanchezza, in uno sport che a volte ti logora, anche se lo ami da morire. E lo vivi, come giusto che sia, come la passione più grande che hai. Tanto da morire con il borsone nel portabagagli e con la divisa ancora sudata.
Allora, se non vogliamo che sia l’ipocrisia a vincere, e se davvero vogliamo onorare Luca facciamo un applauso al prossimo arbitro che ci troviamo davanti. Magari quello che sta arbitrando la partita di vostro figlio e che forse è più giovane di lui. Rispettatelo quando fa un errore, criticatelo senza insultarlo, mettendo da parte le mamme, le sorelle, le malattie. Godetevi la partita e fate un respiro, pensando a tutte le volte che avete ferito l’anima di ragazzi forti, ma pur sempre umani. Fatelo per Luca, almeno per una domenica.LEGGI ANCHE: Serie A, minuto di silenzio sfregiato dai soliti incivili [VIDEO]